mercoledì 30 dicembre 2009

Grandi soddisfazioni - Parte Prima

Ogni venerdì, da più o meno dieci anni, l’Uomo altrove si riunisce con i suoi amici per giocare. Originariamente il giorno preposto era il lunedì e il gioco non poteva che essere uno: il Risiko. Non c’era possibilità di scelta o alternativa valida: il lunedì si risikava. L’Uomo altrove e i suoi “compagnucci di merende” erano dei veri talebani del Risiko, e il diktat era uno, semplice e chiaro: “non avrai altro gioco all’infuori del Risiko”. Finché un giorno arriva lui, il Texas Hold’em, e niente è più come prima. L’allegra brigata dapprima lo sperimenta quasi per scherzo, durante il periodo natalizio (del resto a Natale si sa, si gioca a carte), e poi non riesce più a farne a meno. Inizia la dipendenza da Texas Hold’em: e allora le ore si cominciano ad allungare: non più mezzanotte, ma l’una, le due, le quattro di mattina; il giorno si sposta: meglio il venerdì così l’indomani non si lavora; il numero dei partecipanti cresce: dai cinque (d’obbligo per il risiko) si passa a sei, sette, fino ad arrivare a dieci. Impossibile guarire: il gioco ora sfiora la patologia: il venerdì l’Uomo Altrove rincasa alle tre e ti sveglia, pretendendo di raccontarti come si è conclusa “l’ultima mano”, e quando vede che i tuoi occhi sono due fessure e non sai nemmeno chi sia l’uomo che ti sta parlando, lo senti che accende la tv e si sintonizza sul canale del poker. Perché è così. Una volta che si inizia, non c’è più via d’uscita: il venerdì con gli amici, il giorno dopo i commenti al telefono e poi le partite su internet, i tornei seguiti in televisione. Fino ad arrivare all’apice. La punta dell’iceberg, quando, in occasione del Natale, l’Uomo Altrove decide di esportare il poker texano anche in famiglia. E ti ritrovi davanti alla scena a dir poco surreale dei tuoi parenti (nonne, zie, suocere e madri comprese) che, al posto della classica tombolata, si sfidano all’ultimo sangue a Texas Hold’em. Tu partecipi, ma come al solito ti diverti più che altro ad osservare, e ti chiedi come diavolo abbia fatto tuo marito a convincere tutti a giocare. Te lo guardi allibita mentre spiega le regole, divide le fiches, mischia le carte. È eccitato come un bambino e deciso a vincere come sempre. Non gli importa che si stia giocando pochi euro con la madre, la moglie e i familiari: ogni volta che l’Uomo Altrove si accinge a “giocare”, di qualsiasi gioco si tratti, l’imperativo è sempre lo stesso: VINCERE, VINCERE, VINCERE.

mercoledì 23 dicembre 2009

Top five natalizia

Visto che il Natale è davvero alle porte (anzi praticamente sta già suonando il campanello) ecco una top five che gli rende omaggio. Si tratta di una piccola classifica dei tuoi più cari ricordi d’infanzia legati al Natale.


1) La notte del 24. Il trambusto e l’allegria che accompagnavano il momento di andare a dormire, quando si cercava di far saltare fuori dei posti letto improbabili per fare posto a tutti i parenti: divani, brandine sistemate alla buona, e te che dormivi “da capo a piedi” insieme a tua cugina.
2) La mattina del 25. Svegliarsi tardi e ciabattare per casa in pigiama insieme a tuo fratello e tua cugina. Le risate, gli scherzi, la colazione alle 11.00 con caffelatte e pandoro, mentre la cucina era pervasa dagli odori del pranzo di Natale.
3) I vani tentativi, la notte del 24, di rimanere svegli per aspettare Babbo Natale. I trucchi, le strategie studiate a tavolino con tuo fratello (“Allora facciamo i turni: prima sto sveglia io, poi, quando sto per addormentarmi, ti chiamo…”).
4) La tua bisnonna che apre il tuo regalo: un pacchetto di sanagola alla menta, e le ridono gli occhi.
5) Tu che torturi il pianoforte e le orecchie dei tuoi parenti con canzoni natalizie un po’ stonate (e costringi tutti a cantare con te).

Questa la mia top five. Se avrete voglia di regalarmi le vostre, sarà per me un regalo davvero speciale per questo Natale.

venerdì 18 dicembre 2009

Tutti a letto!

Ore 20.30 di un giorno qualunque.


Mom: Amore cosa fai? Sistemi la cucina o metti a letto la piccola?
Uomo Altrove: La metto a letto io, dai, altrimenti con me non ci sta mai…
Mom: Ok, io metto a posto qui.
Infili i guanti da cucina e inizi a sparecchiare. Uomo altrove e Piccola Despota si dirigono verso le camere. Non passano neanche cinque minuti, ed ecco puntuale, da lontano odi una voce che ti sembra familiare:
Uomo Altrove: Amore…
Mom: Sì caro… ‒ il tuo tono è gentile e disponibile, ma sai che presto cambierà…
Uomo Altrove: Dove sta il pigiamino?
Mom: Nel primo cassetto.
Uomo Altrove: Non lo trovo.
Mom: Cerca bene.
Uomo Altrove: Ti dico che non c’è!
Mom: Sarà passato il ladro di pigiamini…
Uomo Altrove: Cosa?
Mom: Niente, niente… arrivo!
Ti togli i guanti da cucina vai in camera apri il primo cassetto e… voilà… magia delle magie… signori e signore, il pigiamino!
Uomo Altrove: Eppure ti dico che avevo guardato… ‒ prova a giustificarsi... Tu neanche rispondi, tanto questa storia la conosci a memoria: la casa è un luogo sconosciuto agli esseri di sesso maschile, pieno di cunicoli e botole segrete.
Uomo Altrove: Comunque grazie amore… Ecco qui, adesso papà ti mette il pigiamino!!
Ti rimetti i guanti e torni a fare le tue cose in cucina. Passano quasi sette minuti, poi inizi a sentire delle voci provenire dal bagno. Anche questa volta ti suonano familiari.
La voce dell’Uomo Altrove è piuttosto alterata.
Uomo Altrove: Adesso basta, dai! Prendi questo spazzolino. No, così no… dai che bagni tutto! Poi chi la sente tua madre!! (ecco, la folle isterica sei sempre tu!)
Amore… ‒ fai finta di non sentire (e poi perché continua a chiamarti “amore” se la sua voce è carica di rabbia?)
Amoreeeee… ‒ persisti nella tua sordità, finché non vedi l’Uomo Altrove precipitarsi in cucina, paonazzo, con uno spazzolino da denti in mano che blandisce contro di te come una spada.
Uomo Altrove: Non si vuole lavare i denti!
Mom: Ma va? Dai, devi avere un po’ di pazienza, giocaci un po’ e vedrai… cantale una canzoncina!
Uomo Altrove: No, guarda, io non ci riesco, vai tu.
Mom: Ok.
Ti togli di nuovo i guanti e raggiungi tua figlia in bagno.
E poi SuperNonna si stupisce perché non usi più i guanti da cucina!

lunedì 14 dicembre 2009

DIALOGHI DELL'ASSURDO

Amica: Allora, ragazze, ho una notizia importante!
Mom: macchina nuova?
Amica: ma no! Molto più importante.
Mom: ti hanno dato un aumento?
Amica: mooolto più importante...
Mom: ...
Amica: Sono incinta! Sono solo al secondo mese...
Mom: hai già una baby sitter? E una brava massagiatrice?

giovedì 10 dicembre 2009

Fase 3. Genesi di una torta

Non sai spiegarti come, ma in qualche modo eri riuscita a gestire i tuoi piccoli tiranni mentre frullavi, giravi, tagliuzzavi, infornavi. Ora la tua “creazione” cominciava a prendere concretamente forma sotto i tuoi occhi. Dal forno sentivi arrivare il profumo vanigliato del pandispagna che sembrava dirti: “mi sto gonfiando a regola d’arte!”. La crema iniziava ad addensarsi sotto i tuoi occhi, il cioccolato si arrendeva al calore dell’acqua del bagnomaria, fino a sciogliersi voluttuosamente. Tutto procedeva al meglio. E tu non facevi altro che assaggiare: una scucchiaiata di crema, una leccatina al cioccolato e… che libidine! Nella tua bocca quegli ingredienti un tempo solitari diventavano musica per il palato, in un perfetto accordo di sapori. L’armonia del cibo! Ogni volta che, dopo fatica, sbagli e maldestraggini varie, ti trovavi di fronte a un piatto ben riuscito, non potevi che pensare sempre la stessa cosa: “questa è magia!”. Partire dal nulla e creare qualcosa che avrebbe messo d’accordo tutti. Per questo adoravi cucinare. Per quella sensazione magica che si prova vedendo gli ingredienti prendere forma ed evolversi fra le proprie mani. Una sensazione indescrivibile. E mentre eri assorta in questi pensieri, i sensi storditi dall’odore del cioccolato fondente, il pianto del Cucciolo ti ha riportato bruscamente alla realtà: era l’ora della poppata, e dovevi togliere il pandispagna dal forno. In più Piccola Despota aveva la panna in ogni parte del corpo e reclamava di essere pulita a dovere. A quel punto ti ha assalito un altro pensiero. E ti è venuta in mente quella tipa odiosissima, magra bionda e perfettina della pubblicità della Cameo. Quella con le due bimbe che sembrano appena uscite dalla casa del Mulino Bianco che, mentre versa un liquame scuro non meglio identificabile in una tortiera con un ghigno odioso sentenzia: “io non so come dopo una giornatina così ho ancora voglia di fare una torta!”. In questo momento vorresti averla davanti per precisare giusto due tre cosine e con le mani al collo dirle: «ciccia hai idea di cosa significhi fare una torta? Cioè prendere le uova, sbatterle, montare gli albumi, sporcare inverosimilmente tutta la cucina… e non versare una roba nel forno. E non con due bambine praticamente mute che ti guardano tutte pulite pettinate e sorridenti, ma con due esseri umani veri che piangono urlano gridano e si sporcano. Questa è “una giornatina così” e questa, cara mia, è una torta!» pensi tra te e te, mentre fai colare la crema sul pandispagna.

sabato 5 dicembre 2009

Fase 2: la Preparazione

Ok. Gli ingredienti ci sono tutti. Ti infili il tuo grembiulino da cuoca provetta e inizi. Per fortuna che è sabato, almeno c’è l’Uomo Altrove ad aiutarti con i bimbi…
– Amoreee? – è la sua voce. Quando ti chiama così non c’è da aspettarsi nulla di buono.
– Sì? – rispondi titubante.
– Allora oggi monto il mobile in salotto!
– Oggi? – la voce ti trema.
– Certo, è sabato! – non fa una piega.
– Ma devo fare la torta! È una settimana che mi preparo!
– Ma proprio oggi?
– La festa è domani! Non posso mica farla stanotte! – quello sguardo non ti piace: ha la faccia di chi sta seriamente pensando di metterti il silenziatore al frullatore e farti cucinare di notte. Allora rilanci:
– Va bene, non c’è problema. Io faccio la torta e tu monti il mobile. Che sarà mai?
Da quel momento è iniziato l’inferno. Piccola Despota con l’escalation di capricci per farvi scontare quelle due ore della sua vita in cui non era stata il centro del vostro universo. Cucciolo d’Uomo con le sue assurde pretese di nutrirsi ad ogni istante. E tu, stoica, che non molli. Ti prendi Despotina e la metti a frullare la panna: “Giochiamo a signore, vedi?”, poi avvicini il passeggino alla cucina, e mentre giri la crema con una mano, con l’altra culli il puffo frignante e… stupore! Ti accorgi che i rumori della cucina gli piacciono: al suono del frullatore il piccoletto si calma! A volte anche una miscredente come te è tentata di credere che Dio esista.

venerdì 4 dicembre 2009

Fase 1: la spesa

Come prima cosa dovevi procurarti tutti gli ingredienti. Il che voleva dire fare la spesa. Operazione un tempo semplice e veloce, che ora richiedeva invece notevoli doti organizzative. Delle quali, per tua fortuna sei ben provvista. Quindi: allatta il Cucciolo, fallo addormentare, fai un calcolo verosimile di quando avrebbe dovuto risvegliarsi affamato, lascia una scorta di latte per estrema sicurezza, cambialo, vestilo e infine parcheggialo per un’oretta da SuperNonna (non senza prima averla rimbambita di raccomandazioni di ogni tipo).
Bene, ora potevi uscire. Ti sei recata al supermercato con l’occhio fisso sull’orologio e, lista alla mano, hai iniziato a caricare il carrello. Al momento di pagare, il cassiere ti ha guardato beffardo:
– A signo’ che c’ha paura che arriva la guerra?
– Devo SOLO fare una torta di compleanno! – hai risposto piccata. Poi hai buttato un occhio al carrello: venti uova, tre chili di farina, due di zucchero, tre litri di latte… beh, effettivamente le quantità erano imponenti. Ma tu avevi seguito alla lettera le indicazioni della ricetta. Moltiplicando gli ingredienti per l’orda di invitati previsti. Mmm… forse ti stavi sopravvalutando. Una torta per 40 persone: non era pretendere troppo da se stesse? Ma noooo! Ce l’avresti fatta. Così, carica di ottimismo (e dopo aver girato altri quattro supermercati per cercare delle decorazioni degne), eri pronta per il passo successivo.

giovedì 3 dicembre 2009

Missione torta

… E così ti sei cimentata nella preparazione della torta di compleanno. Come la tua mania organizzatrice ti impone, prima di cominciare hai cercato di fissare bene nella tua testa l’obiettivo: doveva essere ricca ma non pesante, era fondamentale usare pochi ingredienti, ma freschissimi (il pancino dei bambini è sacrosanto!), niente liquore né aromi forti, e soprattutto dovevi accontentare la richiesta tassativa di tua figlia: PANNA E CIOCCOLATO! (ha già i gusti della mamma la piccolina!). Infine, c’era un ultimo elemento da non trascurare assolutamente: la decorazione. Non potevi mica far sfigurare la Despotina davanti alle sue amichette che avevano sfoggiato torte con ogni sorta di personaggio Disney! Bene ora che avevi elencato tutte le caratteristiche fondamentali della tua creazione, potevi metterti all’opera e affrontare la tua missione fase per fase.

lunedì 30 novembre 2009

Festicciola per Piccola Despota

La scorsa settimana avete festeggiato il compleanno di Piccola Despota e, come le leggi non scritte della scuola materna impongono, avete organizzato anche voi una piccola “festicciola”. Ora, non lasciatevi ingannare dal termine fra virgolette. Lo scorso anno ci sei cascata anche tu: le mamme ti intercettavano all’uscita della scuola e tutte sorridenti ti porgevano l’invito: “facciamo una festicciola, niente di che!”. E, immancabilmente ti ritrovavi a feste con decine di invitati, animatori, ricchi premi e cotillons. Il tutto per degli gnomi urlanti di tre, quattro anni al massimo. Sulle prime ti sei indignata: non era possibile che dei bambini così piccoli avessero già dei festeggiamenti così “importanti”! E a diciotto anni cosa si sarebbero mai inventati quei genitori per assecondare i capricci dei figli? No, voi non avreste fatto quell’errore, non l’avreste viziata in quel modo. In fondo a quell’età basta poco per farli contenti. Povera ingenua. Non sapevi quel che dicevi. E infatti un anno dopo eccoti qui: davanti a te gli occhietti supplicanti di Piccola Despota che ti chiede una “festicciola” per il suo compleanno. E tu non sai dirle di no. Così, ti sei tuffata nella corsa ai preparativi. Che vuol dire: cerca dei bravi animatori, chiama il catering, ordina panini, pizzette e ogni sorta di schifezze, corri a comprare piatti, bicchieri e tovagliolini di carta (“delle principesse, mi raccomando!”), e ancora rifornisciti di quintali di patatine, pop-corn, bibite e poi non scordare i regalini! (non vorrai mica mandar via i vostri piccoli invitati a mani vuote!).

Bene. Non manca nulla. Hai pensato a tutto.
E la torta? Per quella non c’è problema: la fai tu. Lo hai fatto anche lo scorso anno. Beh, certo eravate meno della metà degli invitati, e non avevi per casa un piccolo idrovoro che reclama latte ogni due ore, ma, in fondo, cosa cambia?

venerdì 27 novembre 2009

DIALOGHI DELL’ASSURDO – HOSPITAL VERSION

Ostetrica: che fa lei lì sul corridoio con la valigia?
Mom: io?... Sarei in attesa per il ricovero
Ostetrica: cesareo?
Mom: già... domani mattina mi opero.
Ostetrica: guardi, non mi chieda la camera singola che è già tanto se le trovo un letto stasera!
Mom: veramente io il cesareo l’ho programmato da un mese, pensavo…
Ostetrica: pensava male
Uomo altrove: ma il ginecologo ci aveva assicurato che…
Ostetrica: ASSICURATO???????
Mom: RA… RAssicurato!!!! Ma del resto, i dottori cosa ne sanno dell'inferno che vivete voi ostetriche qui in corsia... ogni giorno sul campo... costrette ad avere a che fare con donne sempre isteriche e pretenziose!
A proposito... lei domani non è mica di turno in sala operatoria?

venerdì 20 novembre 2009

Top five

Sei una maniaca delle liste. Compili infiniti elenchi per ogni cosa: non ti limiti certo alla banale lista della spesa! Quando hai un problema, elenchi accuratamente tutte le possibili soluzioni; se hai dubbi su una decisione da prendere, metti in colonna tutti gli aspetti positivi e quelli negativi; quando sei piena di cose da fare, prendi carta e penna e riempi fogli strappati dall’agenda con la tua famosa “lista delle priorità” (il cui unico vero obiettivo è quello di smetterla di girare per casa come una pazza, borbottando “non ce la farò mai, non ce la farò mai!!”). Ora, se uno specialista (di quelli bravi) potesse averti fra le mani, ne avrebbe di cose da dire sulle tue infinite manie, ma per il momento non hai soldi né tempo per farti psicanalizzare, per cui ti limiti a un po’ di auto-analisi fai da te, grazie alla quale sei giunta alla banale conclusione che questa tua ossessione di mettere tutto nero su bianco, non rappresenti altro che un modo molto semplice per arginare le tue ansie, i tuoi problemi, la tua confusione mentale. Come a dire: se le vedi scritte di fronte a te, forse ti sembreranno meno gravi di quello che sono e ti sentirai più tranquilla, capace di riuscire, in qualche modo, a venirne a capo. Cosa c’entra tutto questo con il titolo del post? Non molto, in realtà. È che un’altra delle tue “fisse” storiche è quella per le top five. Che, a pensarci bene, in fondo assomigliano molto a delle liste. Tutto ha avuto inizio con Alta fedeltà, tuo film cult (tratto dal celebre libro di Nick Hornby) che non ti stanchi mai di rivedere (chi non l’avesse ancora visto, corra subito in videoteca a prenderne una copia). Bene, come molti di voi sapranno, il protagonista (un John Cusack davvero niente male) è un appassionato di musica, ossessionato dalle top five. Inutile dire che non c’è voluto molto perché questa piccola mania cominciasse a entusiasmare anche te.
Dunque, dopo questo lunghissimo e sconclusionato preambolo, vi propino la prima top five di questo blog, alla quale credo ne seguiranno molte altre.
La classifica in oggetto riguarda le canzoni più belle da dedicare ai propri figli.

1. Raggio di sole di Francesco De Gregori
2. Culodritto di Francesco Guccini
3. Futura di Lucio Dalla
4. Di padre in figlio di Daniele Silvestri
5. Da adesso in poi di Ligabue

È stato davvero difficile limitarsi a sole cinque canzoni (è stata dura escludere Caterina di De Gregori, di cui avresti voluto salvare perlomeno l’intro: «e arrivò il mattino e col mattino un angelo e quell’angelo eri tu»; e hai avuto grandi dubbi se inserire “di diritto” Cocaine, che ormai farà inesorabilmente parte dei tuoi ricordi di mamma), ma è proprio questo il bello delle top five: ti costringono a una scelta, e tu devi farti forza e tirare fuori cinque titoli. Solo cinque. Lo so, lo so può essere molto frustrante. Ma com’è che si dice? È un duro lavoro ma qualcuno deve pur farlo.

domenica 15 novembre 2009

Grande Giorno – Capitolo Secondo

Cocaine
Ci siamo. L’anestesia è stata una favola. Gli occhi a lunetta del dottore ti accompagnano durante l’intervento: rimane lì accanto, confortante, domandandoti continuamente come ti senti, se va tutto bene, ecc ecc…è davvero il tuo migliore amico. Ma ora è il momento del ginecologo. Arriva tutto sorridente (ma che bello qui sono tutti felici!):
– Un po’ di musica? – ti domanda.
– Perché no… – potrebbe aiutarti a rilassarti ulteriormente.
– Che ne dici di un po’ di blues? – il blues non è proprio la tua passione, ma quell’uomo in camice verde ha un bisturi in mano: non ti sembra il caso di fare la schizzinosa.
Parte una musica di sottofondo. Il ritmo tutto sommato non è male… il riff è conosciuto ma non riesci a identificarlo. Intanto senti una serie di persone maneggiare il tuo corpo. Pensi che normalmente una sensazione del genere ti avrebbe fatto svenire all’istante, e invece rimani lì, apparentemente lucida, ad analizzare l’intervento passo passo… mentre ti senti toccare ti domandi a che punto saranno dall’altra parte del telo verde: avranno aperto? Staranno tagliando? Questa morfina ti rende particolarmente serena, come se non fosse il tuo, il corpo che stanno maneggiando quegli strani personaggi verde-vestiti. Mentre ti perdi in questi assurdi pensieri, quelli procedono col “lavoro sporco” (è proprio il caso di dirlo) e in men che non si dica, arriva il Grande Momento. Senti piangere. È lui? Non ci puoi credere! Abbassano il lenzuolo.
– Sveglia bambolina il tuo bimbo è nato, guarda qui!! – è la voce dell’anestesista.
Alzi lo sguardo. È proprio lui. Un mostriciattolo viola tutto grinzoso urla e ti guarda con espressione interrogativa. Sembra ti stia chiedendo spiegazioni per tutto quel trambusto. Sei ammutolita. L’emozione ti ha schiantato. Non lascia spazio alle parole: senti solo un’infinita commozione allagarti gli occhi e riempirti il cuore. Sei spiazzata da quell’esserino. Come potresti non esserlo? Intanto la musica continua ad andare… ma… questa canzone la conosci… “she don’t lie, she don’t lie, she don’t lie… COCAINE!”. Non puoi crederci. Ok il blues, ma Coccaine! E come glielo spieghi a tuo figlio quando cresce: “sai amore, mentre nascevi… ascoltavamo… Cocaine!”. Non suona molto poetico. Avresti immaginato un altro sottofondo per un momento tanto solenne: chessò Beethoven, Bach, o magari La cavalcata delle valchirie di Wagner… sarebbe stata perfetta! E invece… Eric Clapton che canta Cocaine! Ma sì… la morfina ti rende simpatica anche questa canzone! E mentre medici infermieri e ferristi continuano a giocare all’allegro chirurgo con la tua pancia, nella tua testa inizi a cantare un motivetto che non ti abbandonerà più… “she don’t lie, she don’t lie, she don’t lie… COCAINE!".

giovedì 12 novembre 2009

Grande Giorno – Capitolo Primo

Il mio amico anestesista
30 ottobre. Sveglia alle sei. Una “simpatica” infermiera ti sorprende ancora dormiente, accende delicata una luce/faro che ti acceca e, prima ancora che tu possa realizzare dove ti trovi e come ti chiami, ti infila un ago in un braccio, ti fa un intramuscolo e ti costringe a indossare un fantastico camice a pois, che lascia totalmente scoperto il tuo “lato b”. Ancora frastornata ti alzi: hai l’andamento di una geisha, con molta meno eleganza, naturalmente (quel coso aperto “sul retro” che ti impone di camminare con una mano sul sedere certo non aiuta… ). Vorresti avere un attimo di tempo per realizzare cosa stia accadendo, ti affacci sul corridoio, e scorgi finalmente delle facce amiche: sono arrivati i tuoi. Non fai in tempo a salutarli che arriva il tuo ginecologo: ti viene incontro tutto baldanzoso e annuncia sorridente: «siamo i primi!», “la solita fortunella!” pensi, e senti il Terrore impossessarsi delle tue membra, ma ti fingi tranquilla e ti lasci sfuggire un sereno: «Ok!». Pochi minuti dopo siete fuori dalla sala operatoria, l’ostetrica ti intima di entrare, i tuoi ti baciano e ti salutano; ti senti un soldato che parte per la guerra, peccato che ti manchi il coraggio di un soldato! Entri, e finalmente lo vedi: è proprio lui, l’anestesista. Ebbene, grazie per aver incrociato le dita, perché, udite udite, l’anestesista è stato davvero buono con te. Appena hai incrociato il suo sguardo hai confessato: «la avverto, sono un tipo “leggermente” ansioso» e lui, ammiccante: «ne sei proprio sicura?» e Tac! Ti inietta un magico liquido che ti fa sentire leggera leggera. Procede poi con l’epidurale, continuando a chiamarti con nomignoli assurdi: “bambolina”, “principessa”, “piccoletta”… e tu, incredibilmente, lo trovi divertente! Intanto lo osservi bene… ha dei sospetti occhi a lunetta e pensi che forse gli anestesisti non disdegnano di provare personalmente le loro fantastiche “pozioni magiche”. Ok, epidurale fatta, anche questa è andata. Continui a sentirti sballottata a destra e sinistra: chi ti inietta qualcosa, chi ti mette sul lettino, poi si affaccia di nuovo il tuo Grande Amico anestesista che ti mette fra le mani una strana pompetta: «questa sarà la tua amica fidata!» dice sorridendo. MORFINAAAAA! Che invenzione fantastica. Se non l’avete mai provata dovete farlo. Val bene un taglio cesareo. Garantito.

lunedì 9 novembre 2009

Piccola parentesi

È iniziata la tua nuova, frenetica vita di Bis-Mom. Ma prima di raccontare le tue acrobazie fra poppate, pannolini e crisi di gelosia di Piccola Despota, hai deciso di aprire una piccola parentesi dedicata al giorno del parto e alla tua degenza in ospedale. L’esperienza è tale che merita di essere “celebrata” con qualche post che rievochi le assurde situazioni e i buffi personaggi incontrati in quei giorni. Tralascerai la notte di ricovero precedente al giorno del tuo intervento, in cui hai contato le ore fissando il soffitto dal tuo letto d’ospedale, per iniziare col racconto del Grande Giorno.

giovedì 5 novembre 2009

Finalmente a casa!

Dopo quattro giorni trascorsi in ospedale, finalmente sei tornata a casa. Hai varcato la soglia col tuo Cucciolo d'Uomo addormentato nell'ovetto e l'Uomo Altrove al tuo fianco. Piccola Despota ti ha accolto eccitata e adrenalinica in una festa di urla e palloncini. Ancora frastornata e dolorante ti sei guardata intorno, hai respirato profondamente: aria di casa! Per la prima volta siete tutti qui, voi quattro, la tua nuova famiglia. Due figli: che pazzia! Per un momento hai sentito dentro te un'enorme responsabilità, si è fatta strada la paura folle di non farcela, di non essere all'altezza di un compito così grande: crescere ed educare quei due frugoletti.. ma poi te li sei guardati negli occhi, i tuoi piccoli; quegli occhi frizzanti e curiosi della tua Despotina, e gli altri, gonfi di stupore del tuo Cucciolo; e subito ti sei sentita sicura. Loro ti avrebbero indicato la strada, ti avrebbero ridato forza ogni volta che saresti arrivata a sera sfinita, ti avrebbere regalato la loro allegria, curiosità, energia, il loro amore per la vita... e d'improvviso tutto ti è sembrato inspiegabilmente possibile. Ce l'avresti fatta: con fatica, stanchezza, momenti di sconforto e di pura isteria, ma, ne eri certa, avresti continuato ad amare appassionatamente quella tua folle avventura.

giovedì 29 ottobre 2009

Ci siamo

Il grande giorno è arrivato. Nove mesi. In alcuni momenti ti sono sembrati interminabili, e invece eccoti qui, è trascorso quasi un anno e non te ne sei neanche accorta. Accarezzi il tuo pancione con un pizzico di nostalgia: è stato il tuo fedele compagno di viaggio e tra poco vi separerete... che viaggio meraviglioso avete fatto! Quante paure, aspettative, ansie, palpiti... con lui ti sei confidata, ti sei arrabbiata, lo hai amato immensamente. E ora sta per lasciare il posto ad un altro amore, tra i più grandi della tua vita.
Comincia una nuova avventura. Sei spaventata ed eccitata. L'ennesima sfida. Ma tu ami metterti continuamente alla prova, ti fa sentire Viva.
La valigia è pronta: l'Ipod, un buon libro e passeranno anche le ultime ore che ti separano dal Grande Incontro.
Voi intanto, pochi o tanti che siate, se volete, rivolgetemi un piccolo pensiero, domani... incrociate le dita per me e, soprattutto, aspettatemi qui... tornerò presto. Più innamorata e incasinata di prima!

lunedì 26 ottobre 2009

La rete, questa sconosciuta

Ieri sera hai deciso di cimentarti nell’impresa: spiegare a tua madre cosa sia un blog. Reduci da un bel film, davanti a uno squisito soufflé al cioccolato, ti sei sentita in pace con il mondo, in grado di affrontare qualsiasi sfida: e così, titanica, ti sei buttata.

Mom: allora mamma, adesso hai capito cos’è un blog?
SuperNonna: veramente no… ma io odio internet, il computer e tutte quelle cose… davvero, lascia stare. È già tanto che sia riuscita a usare il cellulare!
Mom: ma dai, mamma, ormai il computer è parte della quotidianità di ognuno di noi, e tu sei così giovane, perché tutti questi pregiudizi? Guarda ora ti spiego di nuovo…
SuperNonna: lascia stare, davvero… Hai sentito che panna? Fantastica!
Mom: sì, niente male… Comunque, guarda, il concetto di blog è molto semplice: vedilo come una sorta di diario, sul quale ognuno può scrivere ciò che vuole… con il vantaggio di poter essere letto da chiunque!
SuperNonna: il vantaggio? Se mai decidessi di scrivere un diario non vorrei mai che lo potesse leggere chiunque!
Mom: be’, sì, in linea generale è vero, ma… insomma, diciamo che nel momento in cui ci si getta nella rete, si è consapevoli che i propri pensieri saranno “potenzialmente” di dominio pubblico, per cui…
SuperNonna: quale rete? Ma secondo te come diavolo fanno a far sciogliere il cioccolato dentro? Non l’ho mai capito…
Mom: la rete, si dice così per intendere internet… comunque insomma, il grande vantaggio della rete, di internet, è proprio questo: ti basta un pc, una connessione e sei in contatto con tutti: chiunque, in qualsiasi Paese del mondo può leggerti… non è fantastico? Solo qualche anno fa una cosa del genere sarebbe stata impensabile e invece…
SuperNonna: per me è impensabile ancora adesso. Come è possibile che tu scriva una cosa qui, a Roma-Montesacro e ti leggano, che so… in America… e anche se fosse, che interesse avrebbe un americano a leggere quello che scrivi tu? Mah, davvero non sono cose per me... Ma hai sentito dentro questo soufflé? È caldo! Che libidine!
Mom: sì mamma, è un soufflé, certo che è caldo… e comunque che vuol dire? Non dico che gli americani sono tutti lì a leggere il mio blog, già sarei felice di sapere che lo legge qualche italiano… il punto è un altro. È il potenziale di questo mezzo. Insomma chiunque ne abbia voglia, da qualsiasi parte del mondo, aldilà del ceto sociale, della razza, della religione, del titolo di studio, può entrare nella rete e scrivere ciò che pensa. Se ci rifletti bene è un’altissima forma di democrazia.
SuperNonna: tu dici? Io lo trovo invece piuttosto invadente. Abbiamo davvero bisogno di tutta questa quantità di notizie? Abbiamo davvero voglia di ascoltare i pensieri di milioni di persone sparse per il mondo? Io già faccio fatica a stare dietro alla vita e ai pensieri delle poche persone che ho accanto tutti i giorni, figuriamoci se ho voglia di sapere cosa pensa un totale sconosciuto dall’altra parte dell’emisfero! Non so proprio cosa ci troviate voi di così eccitante in questo internet… e poi ti dirò, in tutta sincerità per me questo "blob" è una perdita di tempo: con un marito e quasi due figli davvero non trovi niente di meglio da fare? Perché piuttosto non ti iscrivi in palestra? Dopo l’allattamento ne avrai bisogno…
Mom: cameriere... Me ne porta un altro di questi soufflé?

giovedì 22 ottobre 2009

... e valigia fu!

Ce l’hai fatta. Questa mattina finalmente hai rotto gli indugi e l’hai fatto. Hai preparato la valigia per l’ospedale. Era ora! Ormai manca solo una settimana al parto, nell’ultimo mese si è affacciata anche qualche sporadica contrazione di avvertimento, ma tu continuavi a prendere tempo: la valigia proprio non la volevi fare. E pensare che quando eri incinta di Piccola Despota era pronta già dal settimo mese, come da manuale. Adesso invece, niente. Non ti risolvevi a mettere ste quattro camice da notte dentro a quel maledetto trolley. Chissà poi perché. O forse il perché lo sai, ma preferisci tenerlo nascosto, sepolto ben bene in fondo alle tue paure più remote. Insomma tutta questa storia del parto programmato ti suona assai strana. Ti sembra così poco naturale. “E che preferivi i dolori in mezzo alla notte, ore e ore di sofferenza come la scorsa volta?” ti ripete mezzo mondo. Be’, sai che può sembrare assurdo, non è che tu preferisca soffrire, ma… insomma, pensandoci bene, l’elemento “imprevisto” tutto sommato aiuta. Il fatto di non sapere assolutamente dove e quando accadrà il tutto, può sì destabilizzare, ma in fin dei conti ti costringe a consegnarti al fatalismo, per cui non puoi far altro che stare lì e attendere che tutto accada. E quando poi arriva il momento tanto atteso, sei talmente travolta dagli eventi da non riuscire neanche a pensare. E questo è un gran vantaggio. Stavolta invece è tutto diverso. Hai una data davanti a te che segna un limite ben preciso: un prima e un dopo dal quale non puoi fuggire. E nel frattempo fai l’unica cosa che non dovresti fare in questo momento: pensare, pensare, pensare… rimuginare infinite volte su ogni più piccolo dettaglio: ti chiedi come sarà la tua stanza, quanto saranno lunghe le ore che separeranno il tuo ingresso in ospedale dal momento in cui varcherai la soglia della sala operatoria. E poi ti domandi: che faccia avrà l’anestesista? Sarà davvero buono con te? Avrà droghe di ogni tipo da instillare goccia a goccia nel tuo corpo per annullare ogni traccia di Terrore? Ti auguri vivamente di sì.
Ok, lo sai che sono tutte cose a cui non si dovrebbe pensare a una settimana dal parto, ma come si fa? È impossibile. Non puoi far finta di niente. Speriamo davvero che l’anestesista sia ben fornito. Per ora intanto la valigia è pronta. Una cosa in meno a cui pensare… ma… riflettendoci meglio… quattro camice da notte basteranno?

domenica 18 ottobre 2009

Il peggio non è mai morto...

Cosa c'è di peggio del cambio di stagione?
Il cambio di stagione a due settimane dal parto.

sabato 17 ottobre 2009

...

… Eppure ora sei qui, al “front office” (così amano definirlo) della palestra più quotata del tuo quartiere, che tradotto nella “tua” lingua significa la peggiore in cui potessi mai capitare.
Sei immediatamente accolta da un sergente della Gestapo travestito da ragazza sorridente, che ti fa compilare un noiosissimo modulo in cui devi necessariamente apporre tutti i tuoi dati: indirizzo, numero di cellulare, e-mail e molteplici firme. Fai uno sforzo sovrumano per non buttare all’aria foglio, penna e signorina della Gestapo e acconsenti a compilare quell’inutile foglio. Tutto questo soltanto per poter accedere al “livello successivo”, ovvero oltrepassare la maledetta sbarra alla tua destra e avere la splendida opportunità di parlare con qualcuno che ti fornisca semplicemente qualche informazione sugli orari dei corsi. Ti accoglie un’altra gentilissima signorina rossovestita che con un entusiasmo davvero spropositato ti domanda in che modo può aiutarti. Ti vengono in mente una serie di rispostacce inadeguate che trattieni a stento in fondo alla gola e replichi semplicemente:
– Vorrei iscrivere mia figlia a nuoto.
– Benissimo! (l’entusiasmo è aumentato) abbiamo diverse possibilità… – a questo punto la signorina inizia a tirare fuori tutti i fogli che ha in dotazione e ti elenca, con dovizia di particolari, tutte le combinazioni possibili e immaginabili di prezzi/orari/attività. La segui a fatica, quasi stordita. Alla fine, cerchi di mettere fine all’agonia e la blocchi:
– Ok, ok, ho capito. Se mi lascia qualche foglio, ne parlo con mio marito e torno.
Prendi alla svelta i volantini e ti precipiti fuori. Sei salva. È stata durissima. Sarà durissima. Ma ti conviene non temporeggiare: rischi di perdere tutto il coraggio accumulato per arrivare fin lì. Hai deciso: Piccola Despota inizia nuoto. E tu inizi il calvario: con cadenza bisettimanale la porti, diligente, in quel posto che per anni hai accuratamente evitato. Le prepari la borsa con tutto il necessario, le metti il costumino, fingi entusiasmo e coinvolgimento e via… “tutti a nuoto!!!”. La aspetti sui comodi divanetti della sala d’attesa, osservando affascinata tutte le tipologie di persone che varcano la porta nei 45 minuti di lezione: giovani quarantenni rampanti in giacca e cravatta, ragazzine perizoma-dotate pronte per la lezione di hip-pop, donne tiratissime dall’età indecifrabile agghindate di tutto punto. Passati i 45 minuti, raggiungi scattante Piccola Despota negli spogliatoi, dribbli veloce culi e tette vaganti e via con l’ultima prova: doccia, vestiti, capelli, e siete pronte per tornarvene in un posto davvero accogliente: la vostra casetta. Lì potrai finalmente rilassarti. Non senza aver prima disfatto la borsa, lavato il costume, steso l’accappatoio… ora ti ricordi perché odiavi andare in palestra… ma adesso è diverso: si tratta della tua piccolina, e sembra piacerle così tanto questo nuoto, senza contare che con il costume e la cuffietta è davvero irresistibile.
Come dirle di no?

mercoledì 14 ottobre 2009

Ci vuole un fisico bestiale

Odi le palestre. Le hai sempre odiate. A trent’anni suonati ancora non riesci a capire come facciano migliaia di uomini e donne a frequentare ogni giorno, con costanza maniacale, quei luoghi minacciosi e ostili. Si recano in questi posti angusti, senza finestre, negli orari più assurdi, magari dopo una faticosa giornata di lavoro, per poter correre, saltellare, pedalare, nuotare, vogare, e sudare, sudare, sudare… e sorridono per giunta. Ma come fanno? Alieni. Questo sono. Uomini e donne venuti da un altro pianeta che minacciano di invadere anche il tuo di pianeta: il fantastico mondo di chi, come te, è un elogio vivente alla pigrizia. Pagare un obolo mensile per andare a sudare insieme ad altre decine di corpi. Non potresti mai farlo. È più forte di te. Hai tentato più volte, alle età più disparate, ma lo sforzo si è rivelato sempre totalmente inutile: ogni volta che ti sei avvicinata a una palestra per la fatidica “lezione di prova”, ti sei ritrovata a fuggire a gambe levate. Ti sei sentita totalmente persa, e incomprensibilmente “diversa”. Perché? Bè, prima di tutto non sopporti la fatica “gratuita”. E non tolleri che si parli continuamente di grassi bruciati, di massa grassa, di tono muscolare, neanche fossimo animali da macello… non puoi farcela. E gli spogliatoi? Ne vogliamo parlare? Sono i luoghi peggiori: tutte queste donne che girano altere con tette e culi al vento e si massaggiano, si oliano, si truccano, si strizzano dentro a completini di pizzo all’ultima moda, per poi specchiarsi ammirate. Non puoi competere con loro. È un altro mondo, distante anni luce da come sei tu. Tu che negli spogliatoi godi semplicemente nel poter stare ore sotto alla doccia calda senza curarti dello scaldabagno che si prosciuga o degli schizzi sul pavimento. Tu che odi creme, cremine e olii vari, che ti si appiccicano ai vestiti in modo insopportabile. Tu che infili di corsa slip e reggiseno in cotone (o se ti va di lusso in microfibra) che nel 90% dei casi si rivelano essere di due colori diversi. Tu, che uscita dalla doccia della palestra hai un unico pensiero: infilarti in macchina e correre a sdraiarti sul divano… seguito da un altro pensiero, più drammatico: “no, caxx, mi devo disfare la borsa!!”.
Come potresti mai sopravvivere TU in una palestra? È praticamente impossibile, questo ti è chiaro ormai da diversi anni, eppure…

lunedì 12 ottobre 2009

Scherzi del destino

Il grande annuncio è stato fatto. La data è certa. Trenta di ottobre. Emozione, confusione, eccitazione. Ok, ok tutto bello. Ora però fatevi una ricerchina su Internet e... indovinate chi è nato proprio quel giorno?
Non c'è niente da fare... il destino mi rema contro!

sabato 10 ottobre 2009

Grande annuncio

Ultimo controllo dal ginecologo. Finalmente. Arrivi puntuale come al solito, anzi, con i tuoi consueti dieci minuti di anticipo. Ti accomodi serena in sala d’aspetto. Attendi, un po’ meno serena, per un’ora, sorbendoti le chiacchiere di una “simpaticissima” informatrice medica che pontifica a destra e sinistra, curandosi di non tralasciare nemmeno uno dei più noti luoghi comuni del momento: “e ‘ste regazzine a dodici anni so’ già donne”, “sempre attaccati a ‘sti computer”, “ma sto facebook non farà male?” e ancora, e ancora… per un’ora interminabile. Ma tu resisti, stoica, cercando di mostrare interesse, annuendo a intervalli regolari e dispensando sporadici “e già”, “che ci vuole fare”, “è la società di oggi”. Finché non vedi arrivare dal fondo del corridoio lui, il ginecologo. Un faro di luce che ti avrebbe salvato dal giogo dell’informatrice e, soprattutto, avrebbe sciolto i dubbi e le ansie accumulati in questo ultimo mese.
Entri nello studio: il dottore è tetro in volto. Provi un approccio scherzoso:
– Giornata nera?
– Ho fatto la notte, un cesareo, e devo correre a farne un altro, visto che ho una paziente “poco cortese” che non vuole entrare in sala operatoria senza di me!
Cerchi di deglutire il rospo che hai in gola. Sei lì per l’appunto per programmare il tuo cesareo, e avevi giusto l’intenzione di dirgli che non avresti rinunciato per nulla al mondo alla sua presenza in sala operatoria. Devi prendere tempo… gli elenchi tutti i tuoi malesseri/disturbi/paranoie dell’ultimo mese. Lui sembra ascoltarti a malapena mentre fissa concentrato la tua scheda sul pc. Poi di colpo, un’occhiata veloce al calendario alla sua destra e il grande annuncio:
– Allora facciamo il 30.
– Il 30 cosa?
– Il 30 ottobre, il cesareo.
– Eh?!!?? Sì. Ok, il 30 benissimo. Venerdì. Perfetto.
(Ma che risposta è? Cosa stai dicendo? “Venerdì perfetto?”. Pensavi forse di dire: “no, guardi venerdì ho il parrucchiere non se ne parla proprio!!”??? Straparli. È evidente).
Due minuti dopo sei lì che gli stringi la mano, lo saluti, ed eccoti di nuovo in sala d’attesa. Dribbli veloce l’informatrice. Sei confusa. Disorientata. Persa. Ti hanno appena annunciato la data e l’ora esatta in cui nascerà tuo figlio. Ma che fai piangi? Sei in un luogo pubblico. Scappi fuori sulla strada. Provi a respirare. Negli ultimi minuti ti sei dimenticata di farlo. Supplichi il tuo cuore di rallentare. Ti giri verso SuperNonna che è accanto a te. Come sempre. È emozionata quanto te, ma fa la dura. Non sai cosa fare. L’abbracci. Intanto la strada, le persone, le macchine intorno a voi, iniziano a vorticare, irrefrenabili. Cercano di seguire il ritmo delle tue emozioni. Impossibile. Chiudi gli occhi e senti di nuovo quel vortice dentro di te: tra meno di un mese sarai di nuovo Mamma.

martedì 6 ottobre 2009

DIALOGHI DELL'ASSURDO

Mom: Siamo proprio agli sgoccioli, amore, è ora che ci mettiamo d’accordo su questo nome.
Uomo altrove: quale nome?
Mom: eddai, cerca di essere serio, è importante… che ne dici di Alessandro?
Uomo altrove: non è male, certo un po’ lunghetto…
Mom: sì forse hai ragione… allora Emiliano?
Uomo altrove: no, è cacofonico, non ci sta col cognome… E se scegliessimo un nome composto?
Mom: tipo Gianluca?
Uomo altrove: o Carcarlo…
Mom: HO DETTO SERI!
Uomo altrove: ok, ok, non ti arrabbiare… fammi pensare…
Mom: che ne dici di Diego?
Uomo altrove: allora facciamo Diego Armando!

… è questo il problema: non si accontenta di vincere, vuole sempre stravincere!

sabato 3 ottobre 2009

Potere del mezzo busto

Sei all’ottavo mese… alla fine dell’ottavo. Mancano poche settimane al parto. Ok, lo sai, non dovresti fare sforzi, piegarti, assumere posizioni scomode. Meno che mai dovresti continuare a guidare: “è pericoloso”, ti dice tuo marito… “con tutte le buche che ci sono a Roma!”, rincara la tua amica… “una volta le donne incinta non guidavano!!!” sbotta scandalizzata SuperNonna. Certo, hanno ragione, si preoccupano per te. Ma loro non sanno. Non hanno la più pallida idea di che soddisfazione possa provare una donna all’ottavo mese di gravidanza, che ormai da tempo ha smesso di sentirsi, non dico attraente, ma anche vagamente “piacevole”; ecco loro non sanno cosa significhi per questa donna in oggetto salire sulla sua piccola macchinetta blu. È lì che entra in gioco il magico potere del mezzo busto. Niente pancione, niente caviglie gonfie, niente passo dondolante da elefante. Una donna incinta che sale in macchina è quanto di più semplicemente attraente possa esistere per il sesso maschile: uno sguardo luminoso e due grosse tette. I semafori diventano micro-iniezioni di autostima. Piccolissime oasi nelle quali puoi ancora trovare qualcuno che ti sorride ammiccante… che sarà mai? penserete… Bè, è vero, non è gran cosa… ma sono quelle piccolissime soddisfazioni che possono rimettere in moto una giornata storta. O più semplicemente fermare il vortice impazzito degli ormoni che ti spingono verso la depressione più totale. E allora… perché negarsele?

mercoledì 30 settembre 2009

... Dacci oggi il nostro pane quotidiano...

Succede questo. Da otto mesi, ovvero da quando il tuo ventre ha iniziato ad accogliere un’altra vita dentro di sé, hai iniziato a sentirti vagamente speciale… e chissà per quale ragione, ti sei stupidamente illusa che anche le persone intorno a te potessero cogliere il raggio di sole che illuminava il tuo volto, le ali che improvvisamente ti facevano leggera leggera, o più semplicemente hai pensato che potessero guardati compiaciuti per quel piccolo miracolo che portavi in te… Ma presto ti sei accorta che la realtà era piuttosto diversa. Per molte delle persone qualunque che in questi mesi hai incontrato alla posta, in banca, al supermercato o in un laboratorio di analisi, altro non eri che una donna sospettosamente gonfia che minacciava di saltare la fila.
E ad ogni nuova occasione, questi volti sconosciuti hanno incrociato il tuo sguardo stupito, incapace di credere davvero che a nessuno di loro venisse spontaneo rivolgerti un sorriso e magari (dico magari) cederti il proprio posto. E ogni volta ti sei sentita dire che la colpa era la tua, che dovevi tirare fuori le unghie, che ormai eri arrivata a trent’anni e ancora non avevi capito come girava il mondo. Puntualmente hai incassato le critiche e ti sei ripromessa ti cambiare atteggiamento, senza mai riuscirci. Fino a qualche giorno fa, quando, fuori da un ufficio comunale, ti imbatti in un signore che occupa bello bello un posto riservato a donne incinta e se ne sta lì a sfogliare il suo giornale. Pensi: è questo il momento di farsi valere, stai quasi per partorire, il tempo a tua disposizione sta scadendo. Ti accosti, gli suoni ripetutamente, ma quello fa lo gnorri… desisti, non ci riesci… ti fai un altro giro del parcheggio, e un altro e un altro ancora, ma niente… tutti i posti sono occupati. Ok. È il tuo momento. Sei determinata. Ti fai forza. Stavolta accosti e scendi dalla macchina. Ti avvicini cordiale e gli fai notare il cartello che campeggia sopra la sua testa:
– Mi scusi, signore, lei è in un posto riservato!
– Ah sì? Non me ne ero accorto.
– Eh già…
– E ci si vorrebbe mettere lei?
– Sa, è riservato alle donne in dolce attesa! – e ammicchi alla tua pancia strabordante di gestante all’ottavo mese.
– Ah, ho capito!
Torni alla macchina, ingrani la prima e aspetti… finché non vedi il “gentil signore” prendere di nuovo fra le mani il giornale e rimettersi a leggere… rimani senza parole e senti la rabbia che comincia a salire, le orecchie che si fanno paonazze, il fiato che si strozza in gola. Che fare? Scendere e buttare fuori tutta la tua indignazione, o ingoiare l’ennesimo rospo? Qualcun altro sceglie al posto tuo: scende un ragazzo che ha assistito alla scena, incredulo quanto te, ma più arrabbiato e meglio piazzato. Comincia a inveire contro il signore e lo intima di lasciarti il posto. Alla fine te li trovi entrambi davanti agli occhi che si prendono a male parole: urlano, inveiscono, ti puntano il dito contro. Senti quel prepotente usurpatore di posti farneticare frasi del tipo “non me lo aveva detto che era incinta!!” e poi rivolgersi a te con il fumo negli occhi e pronunciare le testuali parole:
– Io non sono obbligato a lasciarle il posto… sa leggere? Legga qui il cartello. C’è scritto che non è una prescrizione, ma che si rimette al senso civico di ognuno.
Lo guardi ancora più stupita e non puoi far altro che rispondere: “Appunto”. Intanto continui a osservarlo e non riesci a nascondere il tuo disorientamento: un signore sulla sessantina è davanti a te, giovane donna incinta, e ti urla contro. E non prova alcun imbarazzo. Ne provi tu per lui. Ti senti in imbarazzo per quell’uomo che potrebbe essere tuo padre, che forse è un nonno, e non prova, non dico tenerezza, ma neanche un vago senso di rispetto per la vita che porti dentro.
Tornando a casa, nella tua auto, non riesci a non pensare a quello che ti è successo. Sei scossa. E avvilita per quella porzione di mondo che quell’uomo rappresenta. Disgustata dall’arroganza ormai dilagante. E pensi, tristemente, che in fondo tutto torna. E ti accorgi che per quanto ci si voglia distaccare da quella porzione di mondo, si finisce sempre per ritrovarsela davanti, sbattuta in faccia anche quando non vorresti, come un culo su uno qualsiasi dei mille cartelloni pubblicitari che sei obbligata a guardare, a incrociare, a subire, ogni volta che svolti l’angolo. Con la stessa volgarità. La stessa violenza. La stessa maledettissima arroganza.

lunedì 28 settembre 2009

DIALOGHI DELL'ASSURDO

Mom: Non so come fai tu con tre figli… io già sto nel panico con una sola, quando penso che ne sta arrivando un altro…
Amica: Guarda, devo dire, ormai mi sono organizzata: certo tre figli sono stancanti, ci sono sempre mille cose da fare, ma… forse l’unico momento davvero tragico è la sera: il piccolo con la poppata, i grandi che hanno fame… il tempo sembra non passare mai!
Marito: Ma te lo avevo detto, amore: ti serviva una persona che ti aiutasse un paio d’ore la sera, certo una di fiducia…
Amica: Tipo un marito, intendi?

giovedì 24 settembre 2009

Appuntamento al buio

La notte non dormi più… l’insonnia ti logora… Arrivi alla sera sfinita, ma appena tocchi il letto, Tac! Occhi spalancati sul soffitto! Hai provato tutti i possibili rimedi: la banale camomilla, le più elaborate tisane, ti sei fatta rifilare intrugli di ogni tipo dal tuo “erborista di fiducia”, hai anche ceduto alla valeriana, ma niente… il sonno non arriva. Il letto è diventato un luogo ostile, dove ogni sera ti attendono, come da bambina, mostri di ogni tipo... Parliamoci chiaro: il parto è vicino e tu hai una paura fottuta… hanno un bel dire tutti quanti che è il secondo figlio, e tanto fai il cesareo, e c’è l’epidurale, e una volta si partoriva in casa… ma chi se ne strafrega di come facevano una volta: tu hai partorito in clinica, camera singola, tre epidurali e quintali di antidolorifici, ma certo non è che quel giorno resti nei tuoi ricordi come una passeggiata di salute! E poi chi l’ha detto che “i dolori del parto si dimenticano”? Niente di più falso. Non si dimenticano. Non si possono dimenticare. Sono fra i ricordi più vividi nella memoria di una donna… che poi quel fagottino che ti ritrovi fra le braccia abbia il potere magico di farti pensare che ne sia valsa la pena… bè, questa è tutt’altra faccenda… ma per un’ipocondriaca cronica come te, riuscire a pensare “serenamente” a una sala operatoria, a camici e flebo, è qualcosa di alquanto improbabile… E allora cosa fare? Come arrivare a quel giorno ancora sana di mente? E nell’immediato, come vincere questa bastardissima insonnia? Decidi di mettere in atto una delle tue tecniche preferite… fai l’indifferente. La ignori, la bastarda, e scegli la via della “leggerezza”: un bel libro, cioccolatini, quattro cuscini comodi comodi e... «Adda passa' 'a nuttata».

lunedì 21 settembre 2009

DIALOGHI DELL'ASSURDO

Piccola Despota: mamma, allora ci ho pensato, va bene se arriva un fratellino!
Mom: bene! Lo sapevo che alla fine saresti stata entusiasta, vedrai sarà bellissimo, qualcuno con cui giocare, scherzare e…
Piccola despota: sì sì però ci sarebbe una cosa
Mom: cosa, amore?
Piccola despota: io preferirei una sorellina, ok?
Mom: bè ecco, sai…
Piccola despota: no, mamma, davvero meglio una sorellina. Ok?
Mom: e no piccola non è così semplice, c’è una cosina che non ti abbiamo spiegato…
Piccola despota: la chiamiamo Gaia?
Mom: no, ecco proprio non si può…
Piccola despota: ho detto una sorellina. E basta!
Mom: aspetta un attimo, ho papino al telefono “Sì amore, codice rosso: quali sono i tempi per l’adozione?”.

sabato 19 settembre 2009

... e anche stasera abbiamo cenato!

Anche questa sera, inesorabile, è arrivata l’ora della cena. E anche stavolta ti ha sorpresa all’improvviso: hai guardato l’orologio e… già le sette! Hai aperto il frigorifero: e ora che ti inventi? Tu stai morendo di fame, potresti mangiare qualsiasi cosa: un panino al volo, una pizza al take-away, un kebab… ma la bimba no. Lei deve mangiare SANO. Un’alimentazione equilibrata: proteine, carboidrati, vitamine. Tutto.

‒ La vuoi amore la carne stasera?
‒ Non mi va.
‒ Allora pesce? ‒ tu, stratega sopraffina, hai sempre qualcosa nel congelatore.
‒ No.
‒ Un’ovetto?
‒ Mmm ‒ forse ci siamo… un momento di suspense... e poi la sentenza:
‒ No.
‒ Allora cosa vuoi tesoruccio dorato di mamma?
‒ La pasta!
‒ Sì, buona idea, fai la pasta anche per noi! ‒ è la voce di tuo marito. Ci si mette anche lui con le richieste.
Ok, è andata per la pasta. Ti inventi un sugo improbabile, ed ecco fatto. E per secondo? Ragioniamo. Una cosa veloce. Formaggio, prosciutto, ma sì, senza cucinare troppo. Ok hai visto? Non c’era di che preoccuparsi. Il pasto completo. Sei brava. Ce l’hai fatta. Carboidrati, proteine… e… e le vitamine? Omioddio, la verdura. E cosa ti inventi alle sette di sera?
‒ La vuoi una bella mela principessa della casa?
Chissà perché ti senti tanto la strega cattiva di Biancaneve…

venerdì 18 settembre 2009

DIALOGHI DELL'ASSURDO

Mom: Mamma, sai questo week end pensavo di portare la bambina al bioparco, si divertirà da matti
SuperNonna: Al bioparco? Ma è troppo piccola per queste cose!… Portala allo zoo piuttosto!

mercoledì 16 settembre 2009

Una famiglia normale

Ieri mi sono finalmente concessa una serata con le mie amiche storiche. Cibo, vino, chiacchiere, gelato e ancora chiacchiere… a un certo punto una di loro mi guarda seria e sentenzia: «bè, certo che ora che siete sposati siete proprio diventati una “famiglia normale”!». Tornata a casa, nel mio letto, faticavo ancora a trattenere le risate. Perché per definire “normale” la mia famiglia ci vuole molto senso dell’ironia.
Dunque il mio nucleo familiare è così composto:
Mom, cioè io: incasinata, a tratti isterica, lunatica instabile e quant’altro avrete modo di scoprire se vorrete seguirmi nelle mie pazze giornate e nei miei folli pensieri.
L’uomo altrove, ovvero mio marito, sempre con la testa fra le nuvole, monosillabico, eternamente avvinghiato ai suoi oggetti del desiderio: cellulare e pc.
Piccola despota, mia figlia. In apparenza un angioletto biondo, nella realtà una tiranna di 16 chili per un metro, in grado di accentrare tutto e tutti su di sé.
Piccolo uomo, il mio fagottino in arrivo, un maschietto che porto dentro me… e che mi auguro riuscirà a farmi riconsiderare le mie teorie sugli uomini.
Ora, mischiate i tre elementi (più il fagottino presto presente) in modo del tutto caotico e casuale, fateci girare attorno una SuperNonna e mille altre molecole impazzite e… il risultato sarà la mia “Famiglia normale”!!!!

lunedì 14 settembre 2009

Una nessuna centomila

Come si fa ad essere mamme premurose, mogli fedeli e affidabili, amiche sincere, amanti appassionate, donne indipendenti, ma senza esagerare, (ovvero: è meglio se lavori così porti a casa un po’ di soldi, ma non troppi che se guadagni più di lui poi soffre di inferiorità conclamata e ti si deprime)… Bene, come si fa ad essere tutte queste cose insieme senza diventare schizofreniche? O completamente pazze?
Se lo sapessi non starei qui a scrivere un blog.

Il tuo capo ti vorrebbe sempre disponibile, senza famiglia, senza orari, possibilmente senza neanche un compagno, così gli uomini del “branco” ci possono provare con meno scrupoli…
Tuo marito ti desidera affettuosa e sempre presente, devi cavartela in cucina, saper stirare le camice, accoglierlo sorridente quando rientra a casa, e possibilmente non con una squallida tutina addosso, altrimenti smette di trovarti attraente e se ne cerca un’altra.
È notevolmente apprezzato inoltre, se, smesse le vesti di piccola geisha tra le mura domestiche, ti trasformi in una pantera sotto le lenzuola.
Tua figlia non ti chiede in fondo nulla… vorrebbe solo averti tutta per sé. E che le inviti le amichette tutti i giorni a casa. E che tu sia disponibile a portarla a musica. E a nuoto. E che ogni tanto le faccia un dolce fatto in casa. E che parli con la maestra. E…
E tu cosa vorresti? Qualcuno se lo è mai chiesto?

venerdì 11 settembre 2009

Cominciamo dall'inizio...

Hai sempre desiderato avere un figlio. Hai questo senso di maternità che ti spinge nello stomaco da quando avevi più o meno sedici anni. Assurdo. Lo so. Ma, così è…
A un certo punto della tua vita, tac! Incontri lui. E, accidenti, ti sembra proprio l’uomo giusto. Vive da solo, sa cucinare, ti coccola, si prende cura di te. E poi ti fa ridere moltissimo. È lui, pensi! Sarà il padre dei miei figli. Detto fatto. Un anno dopo nasce vostra figlia.
Nel frattempo, accecata da questo senso di magica euforia, tu, pessimista cronica, sei stata invasa da una ventata di ottimismo (cosa non fanno gli ormoni!!) e hai pensato che il fatto che il tuo lavoro fosse totalmente precario, la vostra casa di 45 mq, la tua vita ancora totalmente incasinata, ecco, hai pensato che tutto questo, in fondo in fondo, non fosse poi un gran problema.
State ridendo anche voi?