domenica 28 febbraio 2010

Il mattino ha l'oro in bocca!

Domenica mattina. Fuori il cielo è grigio. Ti stai godendo il caldo abbraccio del tuo fantastico piumino, senti ogni singola piuma d’oca accarezzarti il corpo. Sono queste le ore di sonno che più ami: quando il giorno si è da poco affacciato alla finestra e ti attardi sotto le lenzuola, fra tepore e torpore. Piccoli doni di un giorno di festa che ti conciliano con il mondo… D’un tratto, ti sembra di udire una voce in lontananza… sarà l’eco di qualche sogno rimasto intrappolato fra i tuoi pensieri… allunghi le coperte sulle orecchie e ti giri dall’altra parte… ma quella voce sembra continuare. Non ci fai caso, ti abbandoni di nuovo al sonno… finché non senti il tocco di una manina gelida sfiorarti la guancia. Apri a stento gli occhi:

– MAMMA! – ma perché i bambini non sanno parlare a bassa voce?
– Che c’è? – provi a rispondere.
– Facciamo colazione? – ti giri, un occhio veloce alla sveglia. Le 7.15. Hai finito con l’ultima poppata del Cucciolo alle 5. Ma perché proprio a te? Ti è toccata in sorte la bambina bionica. Sette ore di sonno e via… si ricarica ed è come nuova. Ma come fa? Provi a guadagnare tempo:
– Amore ma è ancora notte! Dormiamo un altro po’.
– No no guarda fuori. È giorno! Facciamo colazione?
– Vuoi venire nel lettone con mamma e papo? – questa sì che è fina strategia…
– No voglio giocare. Andiamo a fare colazione?
Ora la tentazione è fortissima… per un attimo pensi: ora le spiego come si accendono i fornelli, le dico di scaldarsi il latte, un cucchiaino di cioccolata, due biscotti, e che ci vorrà mai? I quattro anni non sono forse l’età della scoperta e dell’indipendenza?
Ti riprendi subito dai cattivi pensieri e la trascini con te sul lettone. Lei prima oppone resistenza, poi non sa resistere al calore del tuo piumino incantato. Ma il tepore non frena l’adrenalina di Piccola Despota. Anche sotto le lenzuola inizia a saltellare, cantare, giocare. Continui a chiederti come possa un piccolo essere umano di 16 chili avere in sé tutta quell’energia alle 7 di mattina. Poi capisci che non c’è nulla da fare, e mentre l’Uomo Altrove si trova, come al solito, “altrove”, nel magico regno di Morfeo e sembra non accorgersi di una sospettosa presenza saltellante sul suo letto, ti rassegni e inizi a giocare insieme a lei: coccole, solletico, la tempesta di lenzuola… L’Uomo Altrove continua a dormire. A questo punto è venuta fame anche a te e dopo mezz’ora di giochi e di risate alla fine getti le armi e concedi alla Despotina di alzarsi per la colazione.
Sono appena le otto di domenica mattina e tu sei già in piedi. Qualche anno fa avresti riso in faccia a chi ti avesse prospettato uno scenario del genere! Ma tutto sommato, essere svegliate da una manina che ti accarezza il viso, seppur gelida, seppure alle 7 di una grigia domenica mattina, resta comunque un piccolo, preziosissimo dono…

mercoledì 24 febbraio 2010

Professione mucca!

L’allattamento al seno è importante. Fondamentale. Vitale. Imprescindibile. Quale madre non lo sa? Nell’attimo in cui sei rimasta incinta e per tutta la tua carriera di mamma non hanno fatto altro che dirtelo a più voci, in tutti i modi, da tutte le parti. Libri, giornali, pediatri, ginecologi, nonne, zie, TUTTI. Quando hai partorito, il tuo ospedale era tra i più famosi per la promozione e il sostegno dell’allattamento al seno. “Che bello!” Hai pensato quando lo hai scoperto. Non sapevi che, nella pratica, questo significava un esercito di ostetriche e infermiere costantemente impegnate a controllare il tuo seno: venivano, palpavano, strizzavano e poi si appostavano lì, con sguardo indagatore e ti fissavano mentre attaccavi al seno il tuo pargoletto. Tu guardavi il tuo cucciolo, e con un linguaggio silenzioso e segreto che solo le mamme conoscono, gli dicevi con tutte le tue forze: “ti prego, attaccati, non farmi fare brutta figura…”. È così che hai iniziato ad allattare. E, a qualche mese dalla nascita del tuo SECONDO figlio, quegli occhi te li senti ancora addosso. Sono tutti concentrati sul tuo seno: se il bimbo non ha fame, se mangia male, se mangia poco, se mangia troppo, se mangia troppo frequentemente, se ha le coliche, se gli spuntano le bollicine, se ha la crosta lattea. È colpa tua. È il tuo latte. È lui l’artefice di tutti i beni e di tutti i mali. Dunque a te spetta un compito giusto un tantino oneroso: sei la prima responsabile della salute di tuo figlio. E della sua serenità. E della sua crescita “armoniosa”. E del suo benessere generale. Che sarà mai? Una cosa da niente. E poi si domandano perché le mamme sono ansiose e stressate. Vi rendete conto cosa significhi tutto questo? Quale carico di ansia comporti? Per non parlare della fatica fisica. Prima di avere figli ti avevano fatto credere che l’allattamento fosse un momento magico, ricco di gioia e serenità. I giornali ti propinavano queste foto di mamme tutte radiose e sorridenti (magrissime e senza un filo di stanchezza sul volto!!!???!!!) che abbracciano compiaciute il loro bambino tutto felice e sorridente. “Che cosa meravigliosa”, pensavi! Certo, l’allattamento dovrebbe essere proprio così: un momento unico, in cui mamma e bimbo si trovano in perfetta simbiosi e armonia. Un momento di pace, silenzio, intesa. Solo tu e lui, occhi negli occhi, per imparare a conoscervi. Questo era ciò che ti aspettavi. Questo ciò che hai cercato di perseguire con tutte le tue forze. Ma, come troppo spesso accade, la realtà è altra cosa dall’immaginazione. E la realtà è che un momento così unico e fantastico, per rimanere davvero tale, dovrebbe ripetersi una, massimo due volte al giorno. E invece, OPS! i neonati mangiano sette/otto volte in una giornata (ma i tuoi figli, per non farsi parlare dietro, hanno raggiunto anche vette di 12 poppate giornaliere). E non dimentichiamo tutta la ritualità post poppata: ruttino, cambio pannolino, tentativo di addormentamento… senza tralasciare che, dopo ogni poppata, sarebbe buona norma svuotare completamente il seno, avvalendosi di un tiralatte: un aggeggio infernale che ti fa sentire quanto mai vicina a un mucca (nel caso in cui questa sensazione non l’avessi già provata passando più della metà delle tue giornate con il seno al vento!!). Il risultato è che ogni neo-mamma che abbia deciso di allattare i propri figli al seno, si trova a fare i conti con ritmi serratissimi che non lasciano un attimo di respiro: difficile mantenere la serenità in condizioni come queste! Senza contare tutte le aggravanti: tipo una sorellina in preda ad attacchi di gelosia acuta che ogni volta che ti vede allattare decide che le scappa la pipì/pupù, o che ha fame, sete, mal di pancia e ogni sorta di bisogno improrogabile. O ancora l’assillo continuo del peso del neonato: avrà mangiato abbastanza? Starà crescendo bene? Per non parlare di tutte le domande idiote che ti sei sentita fare mentre allattavi (ci vorrebbe forse una top-five per questo!). C’è stato addirittura chi ti ha chiesto quanto latte prendesse tuo figlio ad ogni poppata: bella domanda! Peccato che ti servirebbe una tetta trasparente con le tacchette degli ml per saperlo!!! Insomma, mi dispiace per le donne incinta che stanno leggendo e per tutte quelle che hanno sognato di allattare il proprio figlio come nelle foto dei giornali, ma, care mie, ve lo devo dire, è dura. Durissima. Una faticaccia. E forse qualche volta sarete tentatissime di schiaffargli in bocca un bel biberon di latte artificiale (lo riempie, sai sempre quanto ne beve e glielo può pure dare il papà!!). Però (e c’è sempre un però)… sappiate che se deciderete di intraprendere questo duro cammino, ogni volta che, mettendo il vostro cucciolo sulla bilancia lo scoprirete cresciuto anche di un solo etto, vi sentirete un Dio sceso in terra…

giovedì 18 febbraio 2010

Fortuna

La invochi, la maledici, te ne prendi gioco. Lei ti guarda ammiccante, tu fai la gnorri, fingi di non crederle, ma poi, in fondo in fondo, la cerchi un po’ dovunque: in un incontro “giusto”, in una giornata di sole inaspettato, in una ricetta riuscita alla perfezione…
Ci credi, non ci credi, la corteggi, la ignori, e speri segretamente di poterla incontrare e guardarla dritta in faccia… perché «… ci sono fortune che vanno in braccio al primo che incontrano, fortune puttane che piantano subito e vanno col prossimo e invece ci sono fortune sagge che spiano una persona e la collaudano lentamente»*

*Erri De Luca, Tre cavalli, Feltrinelli

venerdì 12 febbraio 2010

Neve in città

Avevano annunciato neve, ma tu, scettica, non ci avevi creduto. Uomo Altrove e Piccola Despota avevano trascorso la serata a fantasticare su un meraviglioso pupazzo di neve: “mamma ce l’hai la carota per il naso? E due bottoni?”… “sì sì” hai risposto (e intanto pensavi al soffrittino che avresti fatto con quella carota…). Questa mattina vi siete svegliati, Despotina è andata dritta alla finestra e… DELUSIONE… niente neve! “che vi avevo detto? La neve a Roma capita ogni dieci anni!!”. Piccola Despota e Uomo Altrove se ne sono andati tutti imbronciati all’asilo. Tu sei rimasta a casa con il Cucciolo: colazione, letti, aspirapolvere, un occhio al pc e… ma cos’è quella robina bianca che scende giù dal cielo? Neve? A fiocchi così grandi? Sul tuo viso si è dipinto un sorriso ebete… ti sei sentita stranamente euforica e felice… avresti voluto urlare, chiamare mezzo mondo e dire: “c’è la neve!! A Roma!!!” poi ti sei voltata, hai visto il tuo Cucciolo, te lo sei preso in braccio e ve ne siete stati mezz’ora così, stretti stretti affacciati alla finestra, con quel tuo sorriso scemo stampato in faccia e gli occhi carichi di stupore. Dopo poco ti ha telefonato SuperNonna: “Hai visto? Nevica!! È bellissimo!!Allora sono al supermercato così faccio un po’ di scorta, che se nevica poi non si può uscire… prendo la polenta, con questo freddo! E un po’ di farina, così se vogliamo fare la pasta e… sì, del cacao, che a merenda facciamo la cioccolata calda… ”. Attaccato con SuperNonna ti sei precipitata nello sgabuzzino, hai preso la scala e hai cominciato a rovistare, finché non hai trovato un paio di scarponcini e dei guantini da neve per Piccola Despota: così, uscita da scuola, avreste giocato a palle di neve, sarebbe stato fantastico e… la carota per il pupazzo! E la macchinetta: le foto non potevano mancare. E poi di corsa: lavarsi, vestirsi, accudire il cucciolo, prendere tutto. Bene, ce l’avevi fatta… ma… cosa stava succedendo là fuori? Il sole?
Ok, piano B. Soffritto.

martedì 9 febbraio 2010

A scuola di dialetto!

C’è una cosa che devi confessare. Qualcosa che hai faticato tu stessa ad accettare, che non ti perdoni, ma che, crescendo, hai imparato a “mandar giù”. Talvolta ti sei scoperta leggermente intollerante. Una parola orribile, che vorresti cancellare dal tuo dizionario personale delle emozioni; un sentimento che speri i tuoi figli non provino mai. Eppure, nonostante tutta la tua apertura mentale, le tue idee politiche ecc, ecc, hai scoperto negli anni che c’è una cosuccia che ti rende un tantino intransigente: non sopporti sentir parlare MALE. Come diceva Moretti, “le parole sono importanti” e vederle gettar via così, a casaccio, ti crea una sincera sofferenza interiore. Non stiamo parlando di italiano puro, da Accademia della Crusca, non sei il tipo… ti faresti ridere da sola a pronunciare parole come “ella”, “codesto”, “costì”… Stiamo parlando, semplicemente, di riflettere almeno un secondo prima di aprir bocca e di non coniare parole nuove a ogni batter di ciglia… insomma, ci stai girando intorno, ma la realtà è che non sopporti il COATTESE. Quelli di Roma e dintorni sanno a cosa ti riferisci. Quel linguaggio “giovane”, tutto strascicato, che ti fa venire la pelle d’oca ogni volta che lo senti… tutti quei “bella regà”, “bella zi’” “bella ci’”… quel gergo così di moda tra gli adolescenti, che solo a pensarlo in bocca ai tuoi figli tra una decina di anni ti fa sentire male. Ora, seriamente, non sarebbe meglio tornare, semplicemente, al nostro bel dialetto? L’italiano ci sembra troppo pulito, accademico, formale? Bene, parliamo in dialetto. Ma quello vero. Quello de Roma. Quel dialetto ricco e fantasioso che ha nutrito generazioni di comici di altissima levatura e che, invece che far rabbrividire, riempie il cuore e allarga la bocca in un sorriso che spesso sfocia in una calda risata. Certo c’è da studiare, ma con un po’ di impegno si possono fare grandi progressi. Oppure si possono fare dei piccoli stage intensivi. Tipo un week end da SuperNonna: si invita lo zio Dedde, qualche parente, qualche zia acquisita molto pittoresca e il gioco è fatto. Basta un pranzo della domenica e le nozioni base sono già vostre.
Cominciamo, per esempio, dall’uso del plurale. Niente di più facile. Per ogni parola dal suono vagamente “forestiero” il plurale si fa, semplicemente, aggiungendo una “i” alla fine.
Ecco qualche piccolo esempio:

- Sport diventa Sporti
- Autobus diventa Auti
- Camion diventa Camii (qui meglio mettere due “i” visto che quella “n” finale si mostra alquanto minacciosa)
- Naylon diventa Nailii (come sopra!)

E così via… ora provate anche voi, esercitatevi e, se avete voglia, regalatemi qualche altro esempio…

giovedì 4 febbraio 2010

Mai dire MAI

C’è un detto a Roma. Una “metafora” forse poco elegante ma assai calzante e veritiera… non a caso è una delle “perle di saggezza” preferite da SuperNonna. A Roma si dice “non sputà in aria che te ricasca in testa”. Sì lo so, ve lo avevo detto che era poco elegante, ma tutte le mamme che stanno leggendo potranno confermare quanto sia vera. Insomma, quante volte avete affermato sicure: “Io non farò mai…” e poi vi siete ritrovate a fare esattamente quella cosa? Ecco, dal momento in cui siete diventati genitori questa frase vi è rimbombata nella testa milioni di volte. Perché la nascita di un figlio crea uno spartiacque, sancisce un prima e un dopo nella storia personale di ogni donna. E, inevitabilmente, ci si ritrova a cambiare atteggiamenti e opinioni, e ad avere uno sguardo sul mondo totalmente diverso. Talvolta più nitido, altre volte totalmente offuscato. Delle volte hai come la sensazione che un figlio faccia paradossalmente cadere ogni singola briciola di quelle “certezze” che si è faticosamente cercato di costruire nel corso degli anni. “Paradossalmente”, perché spesso hai sentito dire che diventare genitori significa gettare delle basi solide, lasciare una traccia… “basi”, “traccia”… tutte parole “stabili”, che indicano qualcosa di saldo e definitivo. Certo, nulla è più definitivo di un figlio, ma stranamente proprio questo straordinario evento tende a renderci estremamente provvisori. O perlomeno questo è quello che è successo a te.
Prima di diventare mamma non avevi molte certezze, ma quelle poche che c’erano erano irremovibili. Nella tua vita non avresti MAI votato per una certa parte politica, non ti saresti MAI fatta bionda, non avresti MAI mangiato cibi precotti, non saresti MAI uscita di casa senza una spolverata di fard sulle guance, e soprattutto non ti saresti MAI ritrovata in un parco giochi a urlare con tono isterico a tuo figlio/a di mettersi il cappellino di lana, come se fosse la cosa più importante del mondo (suvvia, siamo in un luogo pubblico, un po’ di contegno… e che sarà mai mezz’ora senza cappello? Non morirà mica di freddo!!!)… E se un paio di queste convinzioni rimangono solide (per quanto, un caschettino alla Carrà degli anni d’oro…) ce ne sono altre che sono miseramente crollate. E ora che sei madre di due frugoletti non ti sembra così sconveniente urlare a tua figlia di mettersi il cappello mentre scende tutta compiaciuta dallo scivolo a pancia in sotto… Perché c’è un’altra scoperta che hai fatto negli ultimi anni e che prima ignoravi: i bambini sono personcine che d’inverno si ammalano. Spesso. E trascorrere settimane reclusa in casa tra aerosol e tachipirine può essere alquanto alienante. E questa, cari miei, è una certezza. Almeno credi…